In tempi di lockdown, incontro don Lorenzo per via telematica. Tutto il mondo missionario è stato sottoposto ad una serie di restrizioni a causa del rischio di contagio Coronavirus, dall’animazione alla solidarietà, dal lavoro sul campo alle cure di chi è al limite della vita e della sopravvivenza. La difficile situazione ha stimolato, però, la “creatività missionaria quotidiana”. Di certo il cuore della missione è vivo, ed è grazie a questo che ancora una volta possiamo dire che è la «missione a fare la Chiesa». È quello che avviene in tutto il mondo missionario ma anche nell’ufficio al secondo piano di Piazza di Spagna a Roma, dove opera monsignor Lorenzo Piva, presso la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, al lavoro per la missione universale, in piccoli e grandi progetti, perché sia sempre più la missione a fare la Chiesa. Don Lorenzo è prete dal 1972, le sue esperienze nel ministero sono state una crescita graduale di conoscenza e sapienza, oggi così necessarie nei campi dove svolge il suo servizio. Anche lui sente quotidianamente l’urgenza dell’annuncio del Regno con la forza e lo spirito che la Pentecoste scenda sempre di più tra gli infiniti rivoli del mondo e della missione.
Don Lorenzo, com’è nata la tua vocazione a servizio della missione?
«Ho respirato missione fin da piccolo nella nativa comunità di Limena (Padova) e più tardi in quella di Altichiero. Spiccava la figura di monsignor Edoardo Mason, nativo di Limena, vescovo di Waw e poi di El-Obeid, in Sudan. In famiglia c’erano pure alcune zie missionarie comboniane in Egitto. Negli anni di teologia, pur legato alla Chiesa diocesana, sentivo il richiamo del mondo e delle sue urgenze. L’attenzione si è fatta concreta con la disponibilità data al vescovo di allora, monsignor Franceschi, a servire come sacerdote fidei donum, tramutata con l’invito ad occuparmi dell’animazione del Centro missionario diocesano. Poi, è arrivata la richiesta di accompagnare come assistente il volontariato internazionale (Focsiv) presso la Cei e, dal 1995, è avvenuto il passaggio a Propaganda Fide. Negli anni Sessanta in Seminario c’erano presenze frequenti di missionari che con le loro testimonianze scaldavano il cuore. Il Concilio, poi, apriva diocesi e sacerdoti alla mondialità. L’incontro con vescovi di ogni parte del mondo dava vita alla Cooperazione missionaria tra le Chiese; Cooperazione che la diocesi di Padova aveva anticipato fin dai primi anni Cinquanta grazie alla lungimiranza del vescovo Girolamo Bortignon che aveva iniziato ad inviare propri sacerdoti a diocesi bisognose di clero in Ecuador, Brasile e Kenya».
In cosa consiste il tuo attuale servizio presso la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli?
«La congregazione è come un’arca di Noè, contiene di tutto. C’è il dicastero propriamente detto che provvede direttamente a circa 1.200 delle 3.200 diocesi del mondo: dalla nomina dei vescovi al sostentamento delle giovani Chiese, dai sussidi straordinari alla nomina dei rettori dei Seminari maggiori, dai problemi politici all’inculturazione della fede, al dialogo interreligioso. Oltre al dicastero propriamente detto, operano le Pontificie Opere Missionarie (Pom), ossia quelle Opere volute dal papa per animare alla missione universale e coordinare pure la colletta annuale che va a sostegno delle urgenze delle giovani Chiese. Inoltre, il dicastero gestisce in Roma la Pontificia Università Urbaniana, con 1.600 studenti provenienti da tutti i continenti; sostiene un Seminario maggiore – il Pontificio Collegio Urbano – con 200 studenti, due collegi per sacerdoti specializzandi (San Pietro e San Paolo con 400 sacerdoti), uno per religiose (150 suore). In sintesi, il dicastero missionario si offre come strumento di raccordo e collante tra le Chiese particolari e la Chiesa universale».
Dal tuo osservatorio cosa vedi emergere dal mondo missionario?
«Tante culture, popoli e lingue, ma una sola fede. Etnie e costumi, filosofie e stili di vita non vengono impoveriti o ridimensionati, ma trovano nel Vangelo un volano e un comune denominatore. Le culture si fanno canali di fede, e la fede genera comunione. Si parlano migliaia di dialetti, ma si insegna la lingua madre della carità. Si avverte la sete di Dio in tante comunità. Come ricorda papa Francesco, la missione non è la diffusione di una ideologia religiosa e nemmeno la proposta di un’etica sublime. Molti movimenti nel mondo sanno produrre ideali elevati. È un viaggio con l’uomo pellegrino nel mondo, in cammino verso la patria finale, proteso tra il “già” e il “non ancora” del Regno dei cieli. La Chiesa è missionaria per natura. Se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire. Missione è pure stare in ascolto del mondo reale, soprattutto degli oltre cinque miliardi di persone su sette che abitano le periferie di molte metropoli dove cova la rabbia e cresce il degrado. In questo mondo reale si contano 35mila morti al giorno per denutrizione. A Propaganda arriva quotidianamente una grande quantità e diversità di news, senza essere filtrate da interessi privati. Tali news permetterebbero di cambiare ogni giorno i titoli di tanti telegiornali, spesso manovrati a scopo di lucro. Le medesime news che giungono al dicastero missionario sono rilanciate dall’Agenzia Fides che le offre on line in otto lingue diverse».
Papa Francesco ci propone un modello missionario a 360 gradi, quasi a sottolineare che non c’è più una zona più bisognosa di altre. È da qui che nasce anche il nuovo volto del dicastero?
«Dopo le recenti riforme della Curia romana, il dicastero missionario si dovrà occupare dell’evangelizzazione del mondo intero. Non si rivolgerà, quindi, soltanto alle Chiese di recente costituzione (non più soltanto Africa, Asia, Oceania e Centro America), ma pure a quelle di antica tradizione (Europa, Americhe). Concretamente si occuperà dell’evangelizzazione pure dell’Italia. Molto probabilmente si creeranno due sezioni: del primo annuncio verso quanti non sono mai stati raggiunti dalla fede, e dell’educazione alla fede dei popoli in familiarità con il Vangelo. Consapevoli, nel primo come nel secondo percorso, che si rimane discepoli dello Spirito Santo che precede ogni apostolo e inviato. La terra porta un altro mondo in grembo che occorre aiutare a venire alla luce. Servono operai pronti a far crescere i germogli di un mondo più umano. A loro Dio dice: “Andate”. A decidere non saranno i mezzi umani. Non c’è bisogno di folle per evangelizzare. Conta che il lievito faccia il lievito. Il Regno cresce di suo, cambia le coscienze, feconda le civiltà, plasma il pensiero. Le statistiche portano fuori strada».
Dove sta andando la missione?
«Tra le pieghe delle giovani Chiese si scoprono ferite gloriose – tanti martiri – ma pure piaghe dolorose. Le difficoltà sono reali. Si vive con disagio il fatto di vedere vescovi assentarsi dalle proprie diocesi, in Africa, in Asia, in Oceania o in America Latina, per andare ad elemosinare il necessario per il minimo vitale delle loro comunità. Si usa dire che Propaganda Fide gestisce un grande patrimonio: ben poca cosa rispetto ai fabbisogni reali. Una Chiesa che si fa chiamare universale ed è costituita da Chiese-madri e sorelle, non può chiamare “carità” ciò che dovrebbe rientrare in un dovere di “giusta ridistribuzione” degli stessi beni di famiglia. Ma pure nei rigidi inverni fioriscono le gemme: Seminari di teologia pieni di studenti, Chiese sempre più locali, soprattutto in Africa, preti di nazioni africane che aiutano altre Chiese scarse di clero. La fede si va inculturando, cioè il Vangelo parla la lingua della gente. Alcuni sacerdoti, per ragioni di studio e accompagnamento di connazionali immigrati, si sono inseriti nella pastorale delle Chiese di Occidente, quasi a restituire il dono del Vangelo ricevuto dai primi missionari».
di GAETANO BORGO popoliemissione@missioitalia.it
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