Donne e agricoltura. Sentinelle di pace

Intervento di Mons. Fernando Chica Arellano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la Fao, l’Ifad e il Pam pronunciato in occasione del convegno «Ponti non muri. Donne tra vita e lavoro»

(Roma, 13 marzo) - Preparando l’intervento mi venivano in mente le parole conclusive del Messaggio di san Paolo VI alle donne, scritto in occasione della chiusura del concilio Vaticano II: «Donne di tutto l’universo, cristiane o non credenti, a cui è affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta a voi salvare la pace del mondo!».

Quale meraviglioso valore profetico hanno queste parole, di grande validità anche per i nostri tempi, che offrono alle donne un compito così alto, bello e gravoso. Sono le donne, infatti, pienamente capaci di quella tenerezza sulla quale tanto insiste Papa Francesco, a poter gettare dei ponti per la costruzione della pace. Diceva, infatti, l’attuale Pontefice durante l’omelia della Santa Messa celebrata in San Pietro il 1° gennaio scorso, Giornata Mondiale della Pace: «Un mondo che guarda al futuro senza sguardo materno è miope. Aumenterà pure i profitti, ma non saprà più vedere negli uomini dei figli. Ci saranno guadagni, ma non saranno per tutti. Abiteremo la stessa casa, ma non da fratelli. La famiglia umana si fonda sulle madri». 
In particolare, guardiamo oggi a quelle donne, a quelle madri che lavorano nelle aree di campagna. Esse svolgono un ruolo cruciale nell’economia rurale, specialmente nei Paesi in via di sviluppo: sono essenziali per la conservazione e il miglioramento dei mezzi di sussistenza, per il rafforzamento delle comunità, per il raggiungimento della sicurezza alimentare e nutrizionale e per la lotta alla povertà. Non sono solamente beneficiarie, ma vere e proprie protagoniste dello sviluppo delle loro famiglie e delle società in cui vivono e hanno perciò un ruolo chiave nel raggiungimento degli Obiettivi dell’Agenda di Sviluppo 2030. Costituiscono globalmente oltre un quarto della popolazione mondiale. In particolare, se prendiamo in considerazione alcune delle zone più povere del mondo, quali l’Africa Sub-Sahariana o l’Asia Meridionale, è interessante notare come l’agricoltura in queste regioni dia lavoro al 60-70 per cento delle donne. In generale, secondo dati recenti, nel corso degli ultimi decenni, l’impegno delle donne in agricoltura sembra essere addirittura aumentato. Si pensi, al riguardo, ai contesti nei quali gli attuali fenomeni di emigrazione coinvolgono soprattutto gli uomini: da ciò consegue un aumento di responsabilità della donna sia in termini di carico di lavoro che di potere decisionale. C’è addirittura chi ha parlato di una “femminilizzazione” dell’agricoltura, fenomeno che riguarda molti Paesi in via di sviluppo, ma che tuttavia non ha un valore universale in quanto in molte società l’emigrazione femminile è prevalente rispetto all’emigrazione maschile. 
Il diritto internazionale riconosce l’importanza delle donne rurali. Penso all’articolo 14 della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, che costituisce l’unica disposizione in un trattato a tutela dei diritti umani contenente uno specifico riferimento alle donne rurali. Essa prevede, in particolare, che gli Stati Parte tengano conto «dei problemi particolari che sono propri alle donne delle zone rurali e del ruolo importante che queste donne hanno per la sopravvivenza economica della loro famiglia» e che prendano «ogni misura adeguata per eliminare la discriminazione nei confronti delle donne delle zone rurali, al fine di assicurare, su base di parità tra uomo e donna la loro partecipazione allo sviluppo rurale ed ai suoi benefici». Penso, poi, ad alcune iniziative recenti che sono state attuate nel Sistema delle Nazioni Unite. Ad esempio, l’istituzione, nel 2007, della Giornata Mondiale delle Donne Rurali, che si celebra il 15 ottobre di ogni anno o la creazione, nel luglio 2010, di UN Women (The United Nations Entity for Gender Equality). Ma tutto ciò non basta. Occorre fare di più. In molti Paesi, i diritti delle donne rurali sono spesso violati e i loro bisogni non vengono tenuti in considerazione. Le leggi, le politiche e le strategie di investimento spesso non fanno alcun riferimento a loro e, qualora siano presenti misure loro favorevoli, non sono attuate. 
Frequentemente, inoltre, le donne rurali, lavorando nelle imprese familiari, non percepiscono alcuna retribuzione, mentre altre volte sono sottopagate e rimangono prive di protezione sociale. Colpisce inoltre che, nonostante costituiscano il 43 per cento della forza lavoro, risultino avere meno del 20 per cento della proprietà dei latifondi. Esiste cioè una grave questione concernente la proprietà fondiaria e l’accesso alla terra da parte delle donne, che rischia di escluderle dai programmi agricoli e dall’accesso al credito, aspetti essenziali per un utilizzo effettivo della terra.
Le donne rurali possono diventare inoltre vittime di trafficanti in quanto, private dell’accesso all’educazione e dei servizi sanitari, si ritrovano spesso marginalizzate e isolate a causa di povertà, disoccupazione e mancanza di infrastrutture rurali.
Le lavoratrici nelle aree rurali diventano cioè vittime di quella “cultura dello scarto” che Papa Francesco ha sapientemente individuato come uno degli aspetti più drammatici e allo stesso tempo centrali dell’epoca odierna. Esse, per riprendere le parole del Pontefice nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, non sono solamente sfruttate, ma trattate come rifiuti e avanzi. Serve, invece «porre attenzione all’occupazione femminile. Molte donne avvertono il bisogno di essere meglio riconosciute nei loro diritti, nel valore dei compiti che esse svolgono abitualmente nei diversi settori della vita sociale e professionale, nelle loro aspirazioni in seno alla famiglia e alla società. Alcune di loro sono affaticate e quasi schiacciate dalla mole degli impegni e dei compiti, senza trovare sufficiente comprensione e aiuto. Bisogna fare in modo che la donna non sia, per esigenze economiche, costretta a un lavoro troppo duro e a un orario troppo pesante, che si aggiungono a tutte le sue responsabilità di conduttrice della casa e di educatrice dei figli. Ma soprattutto bisogna considerare che gli impegni della donna, a tutti i livelli della vita familiare, costituiscono anche un contributo impareggiabile alla vita e all’avvenire della società». 
Tuttavia, affinché sia riconosciuto il contributo delle donne rurali «alla vita e all’avvenire della società» e, in sintesi, al bene comune, si rende necessario che le leggi, le politiche e le istituzioni nazionali, i modelli culturali e la mentalità religiosa promuovano e tutelino gli eguali diritti delle donne e il loro accesso alla terra, alle risorse, ai mezzi di sussistenza, ai mercati e al credito. Ed è interessante notare che quando alle donne viene assicurato, ad esempio, l’accesso alla terra, si verificano numerosi effetti positivi: aumenta la qualità delle loro condizioni di vita, migliorano la salute e l’educazione, viene loro garantito l’accesso al credito e sono maggiormente tutelate da situazioni di violenza. 
In altre parole, l’accesso alla terra della donna diventa essenziale per la realizzazione di altri diritti umani, come il diritto alla vita, alla salute, all’alimentazione, al lavoro, all’educazione, all’identità culturale e alla partecipazione alla vita sociale e politica. Ecco perché il diritto delle donne alla terra e quello alle risorse naturali possono essere qualificati come diritti umani fondamentali. 
Per rafforzare la posizione delle donne rurali, occorre allora riaffermare come la fondamentale uguaglianza tra l’uomo e la donna, e pertanto l’eguaglianza dei loro diritti fondamentali, sia radicata nella dignità inviolabile della persona umana. 
Va fronteggiata e sconfitta quella mentalità maschilista di cui parla anche Papa Francesco e che conduce ad atti di violenza contro la donna, che la trasformano in oggetto di maltrattamento, di tratta e di lucro. 
Bisogna stare tuttavia attenti perché l’uguaglianza dei diritti fondamentali dell’uomo e della donna non conduca in alcun modo a un’inibizione del riconoscimento della distinzione tra di loro. Questa distinzione infatti evidenzia l’unicità delle loro differenze e la necessità di una mutua complementarità tra di essi.
L'Osservatore Romano, 13-14 marzo 2019

http://www.osservatoreromano.va/vaticanresources/pdf/QUO_2019_061_1403.pdf