Violenta repressione in Nicaragua. La Conferenza episcopale sospende il dialogo nazionale

Almeno quindici persone sono morte ieri in Nicaragua in scontri che si sono verificati al termine della marcia organizzata nella capitale in omaggio alle madri delle vittime delle proteste anti-governative. Decine i feriti. La manifestazione si era svolta senza nessun incidente fino a quando, intorno alle 17 (ora locale) è iniziata la repressione delle unità antisommossa e di gruppi irregolari che hanno sparato sulla folla inerme. Mentre sui social network si moltiplicavano i messaggi di allarme, migliaia di manifestanti hanno cercato rifugio nella sede delle università e nella cattedrale. La repressione, a sua volta, ha provocato nuove proteste che si sono estese ad altri punti del paese, e che sono andate avanti tutta la notte.

La Conferenza episcopale ha annunciato la sospensione del dialogo nazionale del quale è garante e mediatore. Le trattative tra il presidente Daniel Ortega e i manifestanti non riprenderanno «fin quando si continuerà a negare al popolo nicaraguense il diritto a manifestare pacificamente, e il popolo continuerà a essere represso e assassinato», si legge in un comunicato. I vescovi hanno «condannato energicamente» quella che hanno definito una «aggressione organizzata e sistematica contro il popolo» da parte di «gruppi che appoggiano il governo» e che hanno agito con «violenza inumana».
Le vittime delle ultime ore si aggiungono agli 82 morti registrati da Amnesty international dallo scorso 18 ottobre. Erika Guevara Rosas, responsabile dell’organizzazione per l’America Latina, ha denunciato su Twitter che ieri «la simulazione del governo Ortega ha raggiunto livelli incredibili di perversione», sottolineando che poche ore prima della repressione l’esecutivo aveva approvato la creazione di una commissione d’inchiesta internazionale sulle violazioni dei diritti umani.
Anche il Parlamento europeo ha condannato la «brutale repressione e l’intimidazione dei pacifici manifestanti in Nicaragua» e ha chiesto «elezioni credibili». In una risoluzione approvata con 536 voti favorevoli, 39 contrari e 53 astensioni, gli eurodeputati hanno denunciato il declino della democrazia e dello stato di diritto nel paese negli ultimi dieci anni, oltre a una maggiore corruzione, che ha coinvolto anche i familiari del presidente. Nel testo si chiede che venga «ripristinata la piena libertà di parola».

Il governo del presidente Daniel Ortega ha ammesso che 15 persone sono morte e decine di altre sono rimaste ferite negli incidenti, ma ha attribuito questa «violenza delinquenziale» a «gruppi politici dell’opposizione, con agende politiche specifiche». In una nota diffusa a Managua, il governo del Nicaragua ha dichiarato che «respinge totalmente tutte le accuse di questi gruppi che, in una provocazione demenziale e senza precedenti, denunciano attacchi inesistenti e poi causano disordini per produrre vittime e dare la colpa alle istituzioni».
Il governo ha inoltre negato che gruppi armati sandinisti abbiano preso parte agli scontri, come è stato denunciato dalla Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh), negando l’esistenza stessa di queste formazioni.

«In Nicaragua non ci sono truppe d’assalto né gruppi paramilitari che simpatizzino con il governo, per cui non possiamo accettare che si pretenda di accusarci di questi avvenimenti dolorosi e tragici», si legge nel comunicato. L’esecutivo ha inoltre condannato i «crimini» commessi dallo scorso 18 aprile durante le proteste, ma ha anche respinto «qualsiasi responsabilità per questa violenza», così come le «campagne diffamatorie e le calunnie» di cui si dice vittima da parte della «cospirazione delinquenziale che con l’intimidazione, la paura e la minaccia ha voluto consegnare il paese al crimine organizzato».

L'Osservatore Romano, 1-2 giugno 2018