(Roma, 29/09/2016) - Seconda tappa del viaggio che il Papa compirà da venerdì nel Caucaso, è l’Azerbaigian. Francesco arriva in questa ex repubblica sovietica a maggioranza musulmana dopo 14 anni dalla visita di San Giovanni Paolo II che proprio qui, rispondendo alle richieste di alcuni fedeli alla fine del comunismo, inviò un sacerdote. Oggi in Azerbaigian c'è una Prefettura apostolica affidata ai salesiani, che dipende dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
Intervista di Gabriella Ceraso, al prefetto del dicastero, il cardinale Fernando Filoni:
R. - L’inizio di questa piccola comunità cattolica nell’Azerbaigian è una storia molto bella. Risale un po’ al tempo di Giovanni Paolo II, quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, alcune famiglie scrissero al Papa dicendo: “Una volta eravamo una comunità”- nel senso che il comunismo aveva praticamente raso a zero tutte le chiese, i pochi cristiani sopravvissuti erano un po’ dispersi – “perché non ci manda un sacerdote?”. Da lì è partita la missione: furono incaricati i salesiani del Centro Europa all’interno dell’Azerbaigian.
D. - Una Chiesa relativamente giovane, anche se le radici cristiane del Paese sono molto, molto antiche. Che spazio reale c’è di crescita e di sviluppo per la comunità cattolica?
R. - Lo spazio attuale è legato proprio al concetto di libertà religiosa. Sappiamo che in questi Paesi c’è soprattutto la libertà di culto e anche parlare di tolleranza è un aspetto proprio iniziale. Noi, soprattutto come Chiesa, preferiamo parlare di diritti, perché appartiene alla natura stessa dell’essere cittadini professare la propria fede. Se questo viene rispettato in tutti i Paesi, credo che ci sia sempre una possibilità di sviluppo, come dice il Papa, non per induzione, per portare attraverso dei maccanismi alla fede, quanto per contatto, per testimonianza. In Azerbaigian dobbiamo dire che parliamo di alcune centinaia di cattolici molto vivi, molto belli, ben inseriti all’interno del contesto.
D. - Che tipo di frutto, di cambiamento, di influenza potrà aver la presenza del Papa per queste tematiche che lei ha citato, dai diritti alla libertà al dialogo, all’incontro?
R. - Credo che il primo elemento fondamentale, come già il Papa ha avuto modo di fare e di dire in Armenia, è quella della pace, di come i problemi si possono risolvere con la buona volontà; anche lì dove esistono tematiche spinose, delicate. Da un punto di vista religioso i frutti sono quelli dell’apprezzamento di una cattolicità tranquilla, pacifica, direi anche organizzata, dal punto di vista della carità anche con i pochi mezzi che abbiamo.
D. - A livello civile, diritti e libertà: sappiamo che ci sono delle discussioni aperte tra l’Azerbaigian e l’Europa. Pensa che il Papa potrà in qualche modo tener presenti anche queste tematiche? Incontrerà le autorità, e rappresentanza sociali, diplomatiche …
R. - Io non credo che il Papa agirà diversamente da come ha fatto in tutti gli altri Paesi. Sono convinto che l’invito stesso rivolto al Papa di averlo in Azerbaigian non riguarda una semplice formalità o una tattica politica, ma sostanzialmente è la stima verso un Pontefice che da un punto di vista proprio della sua missionarietà, della sua apertura verso i diritti verso tutte le persone e in particolare i più deboli, è un Papa apprezzato. Quindi non può che essere apprezzato e non può non lasciare anche qui traccia della sua capacità, del suo Pontificato, del suo pensiero.
D. - Lei è stato in Azerbaigian nel 2012; erano 10 anni dalla presenza di San Giovanni Paolo II. Lì lascio delle indicazioni incontrando proprio la comunità cattolica; affidò loro la preghiera per le vocazioni, la cura per la famiglia ma anche la promozione dell’apostolato. Erano tematiche importanti che le stavano a cuore. Perché fece quella scelta? Ci sono stati poi nel tempo dei frutti?
R. - Diciamo che sono frutti che stanno crescendo gradualmente: l’attenzione per la famiglia, per i giovani, per le ragazze e anche da un punto di vista del sostegno ad una società che ha bisogno di apprendere anche che cosa significa solidarietà.
D. - Lei è stato nunzio tanti anni in Iraq e nominato inviato speciale del Papa per l’Iraq. In Georgia ci sarà un appuntamento speciale, quello nella Chiesa di San Simone a Tbilisi, una chiesa della comunità assiro-caldea. Lì verranno in tanti proprio dall’Iraq e dal Medio Oriente. Sarà un momento importante per la comunità siro-caldea del mondo …
R. - Trovare il momento di pregare insieme, di stare insieme, di manifestare al Papa anche le difficoltà, le amarezze di quest’ampia zona che è il Medio Oriente credo che sia anche una buona occasione per i cristiani di sentire la solidarietà del Papa e, da parte dei loro pastori, di avere questo approccio con il Papa in una terra che appartiene storicamente e tradizionalmente anche a loro.
D. - In ultima analisi mi sembra che le linee portanti di questo viaggio saranno comunque pace, fraternità, testimonianza e vicinanza …
R. – Si, indubbiamente perché solo dalla comprensione dei popoli, dal rispetto reciproco, dal rispetto dei diritti fondamentali per ogni cittadino, aldilà di ogni religione, solo questo può dare la pace e lo sviluppo ai popoli stessi.
“Una storia di fede in un contesto non facile” spiega, al microfono di Gabriella Ceraso, il prefetto del dicastero, il cardinale Fernando Filoni:
http://media02.radiovaticana.va/audio/audio2/mp3/00549921.mp3
Intervista di Gabriella Ceraso, al prefetto del dicastero, il cardinale Fernando Filoni:
R. - L’inizio di questa piccola comunità cattolica nell’Azerbaigian è una storia molto bella. Risale un po’ al tempo di Giovanni Paolo II, quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, alcune famiglie scrissero al Papa dicendo: “Una volta eravamo una comunità”- nel senso che il comunismo aveva praticamente raso a zero tutte le chiese, i pochi cristiani sopravvissuti erano un po’ dispersi – “perché non ci manda un sacerdote?”. Da lì è partita la missione: furono incaricati i salesiani del Centro Europa all’interno dell’Azerbaigian.
D. - Una Chiesa relativamente giovane, anche se le radici cristiane del Paese sono molto, molto antiche. Che spazio reale c’è di crescita e di sviluppo per la comunità cattolica?
R. - Lo spazio attuale è legato proprio al concetto di libertà religiosa. Sappiamo che in questi Paesi c’è soprattutto la libertà di culto e anche parlare di tolleranza è un aspetto proprio iniziale. Noi, soprattutto come Chiesa, preferiamo parlare di diritti, perché appartiene alla natura stessa dell’essere cittadini professare la propria fede. Se questo viene rispettato in tutti i Paesi, credo che ci sia sempre una possibilità di sviluppo, come dice il Papa, non per induzione, per portare attraverso dei maccanismi alla fede, quanto per contatto, per testimonianza. In Azerbaigian dobbiamo dire che parliamo di alcune centinaia di cattolici molto vivi, molto belli, ben inseriti all’interno del contesto.
D. - Che tipo di frutto, di cambiamento, di influenza potrà aver la presenza del Papa per queste tematiche che lei ha citato, dai diritti alla libertà al dialogo, all’incontro?
R. - Credo che il primo elemento fondamentale, come già il Papa ha avuto modo di fare e di dire in Armenia, è quella della pace, di come i problemi si possono risolvere con la buona volontà; anche lì dove esistono tematiche spinose, delicate. Da un punto di vista religioso i frutti sono quelli dell’apprezzamento di una cattolicità tranquilla, pacifica, direi anche organizzata, dal punto di vista della carità anche con i pochi mezzi che abbiamo.
D. - A livello civile, diritti e libertà: sappiamo che ci sono delle discussioni aperte tra l’Azerbaigian e l’Europa. Pensa che il Papa potrà in qualche modo tener presenti anche queste tematiche? Incontrerà le autorità, e rappresentanza sociali, diplomatiche …
R. - Io non credo che il Papa agirà diversamente da come ha fatto in tutti gli altri Paesi. Sono convinto che l’invito stesso rivolto al Papa di averlo in Azerbaigian non riguarda una semplice formalità o una tattica politica, ma sostanzialmente è la stima verso un Pontefice che da un punto di vista proprio della sua missionarietà, della sua apertura verso i diritti verso tutte le persone e in particolare i più deboli, è un Papa apprezzato. Quindi non può che essere apprezzato e non può non lasciare anche qui traccia della sua capacità, del suo Pontificato, del suo pensiero.
D. - Lei è stato in Azerbaigian nel 2012; erano 10 anni dalla presenza di San Giovanni Paolo II. Lì lascio delle indicazioni incontrando proprio la comunità cattolica; affidò loro la preghiera per le vocazioni, la cura per la famiglia ma anche la promozione dell’apostolato. Erano tematiche importanti che le stavano a cuore. Perché fece quella scelta? Ci sono stati poi nel tempo dei frutti?
R. - Diciamo che sono frutti che stanno crescendo gradualmente: l’attenzione per la famiglia, per i giovani, per le ragazze e anche da un punto di vista del sostegno ad una società che ha bisogno di apprendere anche che cosa significa solidarietà.
D. - Lei è stato nunzio tanti anni in Iraq e nominato inviato speciale del Papa per l’Iraq. In Georgia ci sarà un appuntamento speciale, quello nella Chiesa di San Simone a Tbilisi, una chiesa della comunità assiro-caldea. Lì verranno in tanti proprio dall’Iraq e dal Medio Oriente. Sarà un momento importante per la comunità siro-caldea del mondo …
R. - Trovare il momento di pregare insieme, di stare insieme, di manifestare al Papa anche le difficoltà, le amarezze di quest’ampia zona che è il Medio Oriente credo che sia anche una buona occasione per i cristiani di sentire la solidarietà del Papa e, da parte dei loro pastori, di avere questo approccio con il Papa in una terra che appartiene storicamente e tradizionalmente anche a loro.
D. - In ultima analisi mi sembra che le linee portanti di questo viaggio saranno comunque pace, fraternità, testimonianza e vicinanza …
R. – Si, indubbiamente perché solo dalla comprensione dei popoli, dal rispetto reciproco, dal rispetto dei diritti fondamentali per ogni cittadino, aldilà di ogni religione, solo questo può dare la pace e lo sviluppo ai popoli stessi.
“Una storia di fede in un contesto non facile” spiega, al microfono di Gabriella Ceraso, il prefetto del dicastero, il cardinale Fernando Filoni:
http://media02.radiovaticana.va/audio/audio2/mp3/00549921.mp3