Articoli, resoconti, riflessioni. Si moltiplicano in Cina le reazioni all’intervista rilasciata dal Papa alla testata “Asia Times”. “Ammiro la Cina, la sua grande cultura, la sua inesauribile saggezza”, aveva detto il Pontefice nel colloquio avuto in Vaticano a fine gennaio col sinologo Francesco Sisci. Immediata e vasta l’eco nel Paese asiatico, con il governo di Pechino che - dopo le parole di Francesco - parla di mantenere “l’intenzione di avere un dialogo costruttivo col Vaticano”. Giada Aquilino ha intervistato Gianni Valente dell’agenzia Fides, esperto di questioni cinesi:
R. – Sicuramente il messaggio che il Papa ha voluto mandare con l’intervista ad “Asia Times” è arrivato chiaro e forte, anche agli alti livelli della leadership cinese ed è stato recepito come un messaggio di amicizia e di ammirazione. Quindi contribuisce a portare avanti quel cammino di reciproca comprensione, che è ricominciato negli ultimi tempi. E’ interessante notare, per esempio, che anche nelle parole usate dal portavoce del ministero degli Affari Esteri c’è quasi un cambiamento di linguaggio: non compaiono più le vecchie formule che si vedevano sempre in questo tipo di dichiarazioni da parte cinese, riguardo ai rapporti col Vaticano e con la Santa Sede, che parlavano di un pericolo di intromissione negli affari interni, con il pretesto della religione, oppure che tiravano in ballo i rapporti diplomatici con Taiwan. Il linguaggio del portavoce fa invece riferimento ad un atteggiamento di pragmatismo, di flessibilità e in qualche modo indica la possibilità di trovarsi “a metà strada”: usa proprio questa espressione.
D. – Questa strada è il processo di miglioramento delle relazioni?
R. – Sì, chiaramente l’intervista del Papa, anche per intenzione dell’autore, il sinologo Francesco Sisci, non aveva toccato affatto i temi del rapporto tra il governo cinese, la Santa Sede e la Chiesa cattolica e neanche questioni strettamente politiche. Però evidentemente tanti in Cina hanno letto le parole di Francesco di ammirazione in riferimento alla saggezza del popolo cinese, le parole di stima verso la grande cultura, la grande civiltà, il contributo che la nazione cinese può dare alla risoluzione dei problemi a livello internazionale come un segno positivo e da valorizzare al livello delle relazioni bilaterali.
D. – Le reazioni sulla stampa locale sono state appunto tantissime. La testata in inglese “Global Times” legge le parole di Francesco come “note gentili”, parlando di un contributo ad “addolcire” le relazioni tra Cina e Santa Sede. Cosa si evoca?
R. – Le reazioni sono state tantissime, a tutti i livelli. Nelle 24 ore successive alla pubblicazione dell’intervista, c’erano già più di cento articoli e commenti che giravano sul web, sia sulle testate ufficiali, quelle più legate al Partito e al governo, sia sui blog, sui siti più popolari. Anche qui, nel linguaggio, c’è uno slittamento del lessico, c’è un fare riferimento ad un atteggiamento di pragmatismo, di flessibilità, di realismo, mentre cala il riferimento alle parole dell’autonomia e della indipendenza della Chiesa cinese rispetto alla Santa Sede. Chiaramente in alcuni passaggi dell’intervento del “Global Times”, che è una testata in inglese, considerata organo semi-ufficiale del Partito comunista cinese, si fa riferimento ancora a questo tipo di linguaggio. Secondo me, però, c’è un alleggerimento di questa insistenza che fa ben sperare.
D. – Ed è significativo proprio perché la testata in inglese è appunto considerata vicina al Partito comunista cinese…
R. – Evidentemente è un segno importante. Chiaramente bisogna tener conto pure di questo. Poi anche gli apparati cinesi, al loro interno, hanno differenti approcci. Si sa, per esempio, che il ministero degli Esteri è più addentro alla tematica del rapporto con la Santa Sede e quindi magari vari tentativi di dialogo e di spiegazione cominciano ad avere effetto.
D. – Di fatto la gente come ha accolto le parole del Papa, che ha inviato tra l’altro i suoi auguri al presidente e a tutto il popolo per il nuovo Anno Cinese e poi ha espresso grande apprezzamento per il Paese, per la sua cultura, per la sua saggezza?
R. – E’ stata veramente un’accoglienza - oserei dire - entusiasta. Le parole del Papa sono state percepite come un segno di grande amicizia e poi come un andare al cuore dei drammi, delle sofferenze, delle difficoltà, ma anche delle possibilità di rinnovamento, di cammino comune, rivolto un po’ tutto al popolo cinese. Questa era anche la caratteristica delle risposte. L’orizzonte è quello di lavorare insieme per il bene comune, il bene del mondo. Nell’orizzonte dello sguardo di Papa Francesco rispetto alla Cina c’è la percezione che anche la Santa Sede, la Chiesa cattolica, possano contribuire a disinnescare le prospettive che sono potenzialmente catastrofiche di una escalation, magari di uno scontro, tra l’Occidente e la super potenza cinese. La prospettiva suggerita dall’intervista del Papa è proprio quella di uno sviluppo condiviso che aiuti tutti i popoli a crescere nella pace e nell’armonia. Quindi una prospettiva, come diceva Papa Francesco, diversa da quella di Yalta, dove c’era stata la “spartizione della torta”. L’immagine, la metafora che ha usato il Pontefice è molto suggestiva. La torta deve rimanere unita. La torta è ciò che unisce tutta la famiglia umana e in questa torta chiaramente la Cina non può essere messa da parte, perché adesso è un attore globale imprescindibile. La prospettiva, però, non è quella della paura, quella del conflitto, ma di un camminare insieme a favore del bene della famiglia umana e curando insieme la nostra casa comune, che era stata anche la prospettiva dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”.
(Radio Vaticana)
R. – Sicuramente il messaggio che il Papa ha voluto mandare con l’intervista ad “Asia Times” è arrivato chiaro e forte, anche agli alti livelli della leadership cinese ed è stato recepito come un messaggio di amicizia e di ammirazione. Quindi contribuisce a portare avanti quel cammino di reciproca comprensione, che è ricominciato negli ultimi tempi. E’ interessante notare, per esempio, che anche nelle parole usate dal portavoce del ministero degli Affari Esteri c’è quasi un cambiamento di linguaggio: non compaiono più le vecchie formule che si vedevano sempre in questo tipo di dichiarazioni da parte cinese, riguardo ai rapporti col Vaticano e con la Santa Sede, che parlavano di un pericolo di intromissione negli affari interni, con il pretesto della religione, oppure che tiravano in ballo i rapporti diplomatici con Taiwan. Il linguaggio del portavoce fa invece riferimento ad un atteggiamento di pragmatismo, di flessibilità e in qualche modo indica la possibilità di trovarsi “a metà strada”: usa proprio questa espressione.
D. – Questa strada è il processo di miglioramento delle relazioni?
R. – Sì, chiaramente l’intervista del Papa, anche per intenzione dell’autore, il sinologo Francesco Sisci, non aveva toccato affatto i temi del rapporto tra il governo cinese, la Santa Sede e la Chiesa cattolica e neanche questioni strettamente politiche. Però evidentemente tanti in Cina hanno letto le parole di Francesco di ammirazione in riferimento alla saggezza del popolo cinese, le parole di stima verso la grande cultura, la grande civiltà, il contributo che la nazione cinese può dare alla risoluzione dei problemi a livello internazionale come un segno positivo e da valorizzare al livello delle relazioni bilaterali.
D. – Le reazioni sulla stampa locale sono state appunto tantissime. La testata in inglese “Global Times” legge le parole di Francesco come “note gentili”, parlando di un contributo ad “addolcire” le relazioni tra Cina e Santa Sede. Cosa si evoca?
R. – Le reazioni sono state tantissime, a tutti i livelli. Nelle 24 ore successive alla pubblicazione dell’intervista, c’erano già più di cento articoli e commenti che giravano sul web, sia sulle testate ufficiali, quelle più legate al Partito e al governo, sia sui blog, sui siti più popolari. Anche qui, nel linguaggio, c’è uno slittamento del lessico, c’è un fare riferimento ad un atteggiamento di pragmatismo, di flessibilità, di realismo, mentre cala il riferimento alle parole dell’autonomia e della indipendenza della Chiesa cinese rispetto alla Santa Sede. Chiaramente in alcuni passaggi dell’intervento del “Global Times”, che è una testata in inglese, considerata organo semi-ufficiale del Partito comunista cinese, si fa riferimento ancora a questo tipo di linguaggio. Secondo me, però, c’è un alleggerimento di questa insistenza che fa ben sperare.
D. – Ed è significativo proprio perché la testata in inglese è appunto considerata vicina al Partito comunista cinese…
R. – Evidentemente è un segno importante. Chiaramente bisogna tener conto pure di questo. Poi anche gli apparati cinesi, al loro interno, hanno differenti approcci. Si sa, per esempio, che il ministero degli Esteri è più addentro alla tematica del rapporto con la Santa Sede e quindi magari vari tentativi di dialogo e di spiegazione cominciano ad avere effetto.
D. – Di fatto la gente come ha accolto le parole del Papa, che ha inviato tra l’altro i suoi auguri al presidente e a tutto il popolo per il nuovo Anno Cinese e poi ha espresso grande apprezzamento per il Paese, per la sua cultura, per la sua saggezza?
R. – E’ stata veramente un’accoglienza - oserei dire - entusiasta. Le parole del Papa sono state percepite come un segno di grande amicizia e poi come un andare al cuore dei drammi, delle sofferenze, delle difficoltà, ma anche delle possibilità di rinnovamento, di cammino comune, rivolto un po’ tutto al popolo cinese. Questa era anche la caratteristica delle risposte. L’orizzonte è quello di lavorare insieme per il bene comune, il bene del mondo. Nell’orizzonte dello sguardo di Papa Francesco rispetto alla Cina c’è la percezione che anche la Santa Sede, la Chiesa cattolica, possano contribuire a disinnescare le prospettive che sono potenzialmente catastrofiche di una escalation, magari di uno scontro, tra l’Occidente e la super potenza cinese. La prospettiva suggerita dall’intervista del Papa è proprio quella di uno sviluppo condiviso che aiuti tutti i popoli a crescere nella pace e nell’armonia. Quindi una prospettiva, come diceva Papa Francesco, diversa da quella di Yalta, dove c’era stata la “spartizione della torta”. L’immagine, la metafora che ha usato il Pontefice è molto suggestiva. La torta deve rimanere unita. La torta è ciò che unisce tutta la famiglia umana e in questa torta chiaramente la Cina non può essere messa da parte, perché adesso è un attore globale imprescindibile. La prospettiva, però, non è quella della paura, quella del conflitto, ma di un camminare insieme a favore del bene della famiglia umana e curando insieme la nostra casa comune, che era stata anche la prospettiva dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”.
(Radio Vaticana)