Sarà presentato fuori concorso alla prossima Mostra del Cinema di Venezia il film di Gianfranco Pannone “L’esercito più piccolo del mondo”, prodotto dal Centro Televisivo Vaticano e con il quale per la prima volta la Santa Sede è presente al Festival. Protagonisti alcuni giovani che prestano il loro servizio militare nella Guardia Svizzera Pontificia.
Giurano solennemente, le nuove reclute nelle loro divise antiche e sgargianti, il 6 maggio di ogni anno, nella cornice del Cortile di San Damaso in Vaticano. La data ricorda un episodio tragico di storia, simbolo oggi di fedeltà: in quel giorno del 1527, furono 147 le guardie svizzere che perirono mentre Roma veniva saccheggiata. Sono passati secoli da allora, tutto pare immobile, tutto è, invece, cambiato, nel mondo e nelle aspettative di questi giovani che dalla Svizzera, appunto, si mettono in viaggio verso la Santa Sede per questo prestigioso servizio al Papa e alla Chiesa. Valeva la pena raccontare tutto questo per immagini e il Centro Televisivo Vaticano ha affidato alle mani discrete e competenti di Gianfranco Pannone il compito e la responsabilità di girare il primo film dedicato a quello che, come richiama lo stesso titolo, è “L’esercito più piccolo del mondo”. Abbiamo chiesto al regista come è nata l’idea del film e quali sono stati i primi passi:
R. - Ero già in contatto con il CTV, con don Dario Viganò, su un progetto che avrei dovuto fare sulla Chiesa cattolica, come si rapporta in qualche modo alla contemporaneità. Improvvisamente però sono stato chiamato per questo altro progetto che all’inizio poteva sembrare un po’ più classico, un documentario sulla Guardia Svizzera. E’ diventato, invece, sempre più uno sguardo da dentro, una sorta di dietro le quinte in un’istituzione appunto più che centenaria che i più non conoscono o che, se conoscono, è sempre attraverso un’idea un po’ stereotipata, che si confonde un po’ nei colori sgargianti della divisa della Guardia Svizzera.
D. - Con quali aspettative ha iniziato le riprese in Vaticano?
R. - Io ho trovato una grande apertura dentro la Guardia Svizzera. Io stesso sono rimasto sorpreso, forse anch’io soffrivo di un pregiudizio. Credo che però questa impressione diversa e positiva sia fortemente influenzata dalla presenza del Santo Padre, Papa Francesco, che è una figura che in qualche modo compare sempre sullo sfondo, ma è importantissima e che in qualche modo determinerà anche la soluzione di alcuni dubbi di uno dei nostri testimoni, René che è una Guardia Svizzera che si interroga: lui si sta per laureare in teologia per cui ha dei dubbi sul suo ruolo di soldato che veste un abito di più di 500 anni fa.
D. - Si capisce che nel film non è interessato solo alla storia e alla tradizione che circonda la Guardia Svizzera, ma alla vita di questi ragazzi.
R. - Racconto la vita quotidiana di alcuni ragazzi, in particolare di Leo, René, Michele, Marco, di cui seguo questo percorso e apprendistato fino a che non giurano fedeltà al Papa e alla Chiesa diventando effettivamente guardie svizzere. E’ un dietro le quinte però, c’è quindi la quotidianità. Ho puntato molto su un aspetto che secondo me anch’esso è fortemente legato a questo papato: l’umanità, cioè non raccontare i soldati ma raccontare le persone, che cercano in qualche modo di collocarsi nel mondo. E quindi c’è la loro normalità, ci sono le passeggiate, le chiacchierate, le confidenze, i dubbi… Non è un film celebrativo quello che ho fatto e credo che forse per questo Alberto Barbera l’abbia preso al Festival di Venezia. E’ uno sguardo ad altezza d’uomo, è la vita di camerata, la mensa, le passeggiate per Roma. E’ anche però l’entusiasmo di poter correre dentro i giardini vaticani piuttosto che chiacchierare sull’emozione di fare la guardia al Papa durante la notte a cinque metri dalla sua stanza. E’ stata per me un’esperienza straordinaria da questo punto di vista, perché mi si è aperto un mondo, insomma. Da credente, che però difende fortemente la propria dimensione laica, per me è stata una grande scoperta e una straordinaria esperienza.
(Radio Vaticana)
Giurano solennemente, le nuove reclute nelle loro divise antiche e sgargianti, il 6 maggio di ogni anno, nella cornice del Cortile di San Damaso in Vaticano. La data ricorda un episodio tragico di storia, simbolo oggi di fedeltà: in quel giorno del 1527, furono 147 le guardie svizzere che perirono mentre Roma veniva saccheggiata. Sono passati secoli da allora, tutto pare immobile, tutto è, invece, cambiato, nel mondo e nelle aspettative di questi giovani che dalla Svizzera, appunto, si mettono in viaggio verso la Santa Sede per questo prestigioso servizio al Papa e alla Chiesa. Valeva la pena raccontare tutto questo per immagini e il Centro Televisivo Vaticano ha affidato alle mani discrete e competenti di Gianfranco Pannone il compito e la responsabilità di girare il primo film dedicato a quello che, come richiama lo stesso titolo, è “L’esercito più piccolo del mondo”. Abbiamo chiesto al regista come è nata l’idea del film e quali sono stati i primi passi:
R. - Ero già in contatto con il CTV, con don Dario Viganò, su un progetto che avrei dovuto fare sulla Chiesa cattolica, come si rapporta in qualche modo alla contemporaneità. Improvvisamente però sono stato chiamato per questo altro progetto che all’inizio poteva sembrare un po’ più classico, un documentario sulla Guardia Svizzera. E’ diventato, invece, sempre più uno sguardo da dentro, una sorta di dietro le quinte in un’istituzione appunto più che centenaria che i più non conoscono o che, se conoscono, è sempre attraverso un’idea un po’ stereotipata, che si confonde un po’ nei colori sgargianti della divisa della Guardia Svizzera.
D. - Con quali aspettative ha iniziato le riprese in Vaticano?
R. - Io ho trovato una grande apertura dentro la Guardia Svizzera. Io stesso sono rimasto sorpreso, forse anch’io soffrivo di un pregiudizio. Credo che però questa impressione diversa e positiva sia fortemente influenzata dalla presenza del Santo Padre, Papa Francesco, che è una figura che in qualche modo compare sempre sullo sfondo, ma è importantissima e che in qualche modo determinerà anche la soluzione di alcuni dubbi di uno dei nostri testimoni, René che è una Guardia Svizzera che si interroga: lui si sta per laureare in teologia per cui ha dei dubbi sul suo ruolo di soldato che veste un abito di più di 500 anni fa.
D. - Si capisce che nel film non è interessato solo alla storia e alla tradizione che circonda la Guardia Svizzera, ma alla vita di questi ragazzi.
R. - Racconto la vita quotidiana di alcuni ragazzi, in particolare di Leo, René, Michele, Marco, di cui seguo questo percorso e apprendistato fino a che non giurano fedeltà al Papa e alla Chiesa diventando effettivamente guardie svizzere. E’ un dietro le quinte però, c’è quindi la quotidianità. Ho puntato molto su un aspetto che secondo me anch’esso è fortemente legato a questo papato: l’umanità, cioè non raccontare i soldati ma raccontare le persone, che cercano in qualche modo di collocarsi nel mondo. E quindi c’è la loro normalità, ci sono le passeggiate, le chiacchierate, le confidenze, i dubbi… Non è un film celebrativo quello che ho fatto e credo che forse per questo Alberto Barbera l’abbia preso al Festival di Venezia. E’ uno sguardo ad altezza d’uomo, è la vita di camerata, la mensa, le passeggiate per Roma. E’ anche però l’entusiasmo di poter correre dentro i giardini vaticani piuttosto che chiacchierare sull’emozione di fare la guardia al Papa durante la notte a cinque metri dalla sua stanza. E’ stata per me un’esperienza straordinaria da questo punto di vista, perché mi si è aperto un mondo, insomma. Da credente, che però difende fortemente la propria dimensione laica, per me è stata una grande scoperta e una straordinaria esperienza.
(Radio Vaticana)