Card. Filoni: "Sri Lanka in profonda trasformazione. Le Filippine sentono di avere una missione verso il Continente"
Dialogo, riconciliazione, pace, compassione, poveri… Sono alcune parole-chiave che possono sintetizzare il viaggio apostolico di Papa Francesco in Sri Lanka e Filippine (12-19 gennaio 2015). Un viaggio atteso e preparato a lungo nei due Paesi. Ne è testimonianza la “grande e festosa accoglienza riservata al Santo Padre”. Prima della partenza da Manila per Roma, abbiamo raccolto le prime impressioni del cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, nel seguito papale di questo viaggio. Il cardinale conosce bene i due Paesi per aver prestato servizio diplomatico in entrambi.
Eminenza, qual è l’immagine che più di ogni altra l’ha colpita?
“Gli occhi delle persone che hanno atteso con gioia uno sguardo del Papa. La gente è rimasta lì, ore e ore, ad attendere solo uno sguardo, anche perché la macchina del Pontefice passa con una certa velocità. Incontrare il Santo Padre con i propri occhi esprime una soddisfazione per noi occidentali forse un po’ incomprensibile”.
Effettivamente hanno molto colpito le folle imponenti che hanno accolto il Papa nei due Paesi…
“L’accoglienza riservata al Papa prima a Colombo e poi a Manila, straordinaria per l’entusiasmo e per la gioia, ha sorpreso tutti. Bisogna sottolineare la lunga preparazione delle due tappe del viaggio. Non mi riferisco solo alla preparazione materiale, ma anche spirituale: le parrocchie sono state molto attive con novene, incontri e sensibilizzazioni varie. Non si spiegherebbero altrimenti le migliaia di persone che si sono accostate al sacramento della penitenza nei diversi momenti che hanno scandito il viaggio. Anche nell’attesa del passaggio del Papa. E, poi, non va dimenticato che non tutti i presenti erano cristiani: molti erano lì, lungo le strade, perché attratti certamente dalla presenza del Pontefice, ma anche per il messaggio e i valori percepiti”.
Quale messaggio e quali valori in un continente in cui i cattolici sono una minoranza?
“Innanzitutto il messaggio del Vangelo che viene comunicato dalla vita della gente. E poi il rispetto della persona, dell’altro; la comprensione reciproca. Insomma, i valori che ogni religione ha e che possono contribuire al proprio arricchimento personale e spirituale. Tutto ciò si fonda su una storia di presenza cristiana molto importante. Nelle Filippine si celebrano i 500 anni dell’evangelizzazione. Tra qualche giorno andrò in Vietnam, dove verranno celebrati i 400 anni dell’arrivo del Vangelo. C’è una storia. C’è una presenza. Per cui l’Asia, anche se numericamente è a minoranza cristiana, è il continente che offre una comprensione del Vangelo oggi con una ricchezza e modalità diverse, davvero sorprendenti dal punto di vista della multiculturalità”.
Per questo Papa Francesco ha più volte ripetuto che “in Asia si deve andare”.
“Già Giovanni Paolo II lo aveva più volte affermato: l’Asia è importante. E il Sinodo per l’Asia, nel 1998, lo aveva in qualche modo evidenziato. L’Asia è il continente che nel terzo millennio dovrebbe andare a Cristo in tutte le forme possibili. Non solo, dunque, attraverso il battesimo, che è la forma tipicamente della vita cristiana, ma anche nel consesso di una realtà religiosa e tradizionale, dove il cristianesimo ha bisogno di dire una parola. Noi in Asia abbiamo un’importante presenza ecclesiale (diocesi, vescovi, sacerdoti, missionari, religiosi e religiose), ma pure un’apprezzata presenza sociale: scuole, collegi, strutture di assistenza alle famiglie, ospedali, etc. Realtà molto frequentate anche dai fedeli di altre religioni. La Chiesa ha acquisito, quindi, un ascendente che è superiore rispetto alla realtà numerica dei cristiani stessi”.
Lei ha prestato servizio diplomatico nei due Paesi appena visitati. Nello Sri Lanka, in modo particolare, ha vissuto in prima persona il conflitto durato oltre due decenni. Come è cambiato il Paese da allora?
“Ho conosciuto lo Sri Lanka 33 anni fa. Era la mia prima destinazione diplomatica. Quando arrivai nel Paese era l’11 maggio 1981, giorni prima dell’attentato a Giovanni Paolo II, quindi ricordo molto bene quel momento. Era un Paese che tutti descrivevano come affascinante. M’impressionò subito la bellezza con cui questo popolo viveva la propria fede. In quel momento il Paese era sostanzialmente pacifico. Un anno e mezzo dopo, la situazione precipitò. Momenti terribili segnarono l’inizio della guerra. Ora ho trovato un Paese in profonda trasformazione, lanciato nello sviluppo economico, sociale e umano. La pace sta contribuendo molto anche nella crescita della fede”.
E delle Filippine cosa ci può raccontare?
“Come nunzio ci sono stato solo un anno, dal 2006 al 2007, prima di essere nominato sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato. Anche questo è un Paese in grande evoluzione. Certo dovrà fare passi in avanti, ma c’è una grande ricchezza che tutti possono invidiare: la coscienza del popolo. Le Filippine sono il Paese asiatico a maggioranza cattolica e, per questo, sentono di avere una missione verso il Continente”.
Cosa le rimane nel cuore?
“La grande umanità dei due popoli visitati, nonostante le difficoltà vissute. I loro sorrisi. La loro gioia”.
Eminenza, qual è l’immagine che più di ogni altra l’ha colpita?
“Gli occhi delle persone che hanno atteso con gioia uno sguardo del Papa. La gente è rimasta lì, ore e ore, ad attendere solo uno sguardo, anche perché la macchina del Pontefice passa con una certa velocità. Incontrare il Santo Padre con i propri occhi esprime una soddisfazione per noi occidentali forse un po’ incomprensibile”.
Effettivamente hanno molto colpito le folle imponenti che hanno accolto il Papa nei due Paesi…
“L’accoglienza riservata al Papa prima a Colombo e poi a Manila, straordinaria per l’entusiasmo e per la gioia, ha sorpreso tutti. Bisogna sottolineare la lunga preparazione delle due tappe del viaggio. Non mi riferisco solo alla preparazione materiale, ma anche spirituale: le parrocchie sono state molto attive con novene, incontri e sensibilizzazioni varie. Non si spiegherebbero altrimenti le migliaia di persone che si sono accostate al sacramento della penitenza nei diversi momenti che hanno scandito il viaggio. Anche nell’attesa del passaggio del Papa. E, poi, non va dimenticato che non tutti i presenti erano cristiani: molti erano lì, lungo le strade, perché attratti certamente dalla presenza del Pontefice, ma anche per il messaggio e i valori percepiti”.
Quale messaggio e quali valori in un continente in cui i cattolici sono una minoranza?
“Innanzitutto il messaggio del Vangelo che viene comunicato dalla vita della gente. E poi il rispetto della persona, dell’altro; la comprensione reciproca. Insomma, i valori che ogni religione ha e che possono contribuire al proprio arricchimento personale e spirituale. Tutto ciò si fonda su una storia di presenza cristiana molto importante. Nelle Filippine si celebrano i 500 anni dell’evangelizzazione. Tra qualche giorno andrò in Vietnam, dove verranno celebrati i 400 anni dell’arrivo del Vangelo. C’è una storia. C’è una presenza. Per cui l’Asia, anche se numericamente è a minoranza cristiana, è il continente che offre una comprensione del Vangelo oggi con una ricchezza e modalità diverse, davvero sorprendenti dal punto di vista della multiculturalità”.
Per questo Papa Francesco ha più volte ripetuto che “in Asia si deve andare”.
“Già Giovanni Paolo II lo aveva più volte affermato: l’Asia è importante. E il Sinodo per l’Asia, nel 1998, lo aveva in qualche modo evidenziato. L’Asia è il continente che nel terzo millennio dovrebbe andare a Cristo in tutte le forme possibili. Non solo, dunque, attraverso il battesimo, che è la forma tipicamente della vita cristiana, ma anche nel consesso di una realtà religiosa e tradizionale, dove il cristianesimo ha bisogno di dire una parola. Noi in Asia abbiamo un’importante presenza ecclesiale (diocesi, vescovi, sacerdoti, missionari, religiosi e religiose), ma pure un’apprezzata presenza sociale: scuole, collegi, strutture di assistenza alle famiglie, ospedali, etc. Realtà molto frequentate anche dai fedeli di altre religioni. La Chiesa ha acquisito, quindi, un ascendente che è superiore rispetto alla realtà numerica dei cristiani stessi”.
Lei ha prestato servizio diplomatico nei due Paesi appena visitati. Nello Sri Lanka, in modo particolare, ha vissuto in prima persona il conflitto durato oltre due decenni. Come è cambiato il Paese da allora?
“Ho conosciuto lo Sri Lanka 33 anni fa. Era la mia prima destinazione diplomatica. Quando arrivai nel Paese era l’11 maggio 1981, giorni prima dell’attentato a Giovanni Paolo II, quindi ricordo molto bene quel momento. Era un Paese che tutti descrivevano come affascinante. M’impressionò subito la bellezza con cui questo popolo viveva la propria fede. In quel momento il Paese era sostanzialmente pacifico. Un anno e mezzo dopo, la situazione precipitò. Momenti terribili segnarono l’inizio della guerra. Ora ho trovato un Paese in profonda trasformazione, lanciato nello sviluppo economico, sociale e umano. La pace sta contribuendo molto anche nella crescita della fede”.
E delle Filippine cosa ci può raccontare?
“Come nunzio ci sono stato solo un anno, dal 2006 al 2007, prima di essere nominato sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato. Anche questo è un Paese in grande evoluzione. Certo dovrà fare passi in avanti, ma c’è una grande ricchezza che tutti possono invidiare: la coscienza del popolo. Le Filippine sono il Paese asiatico a maggioranza cattolica e, per questo, sentono di avere una missione verso il Continente”.
Cosa le rimane nel cuore?
“La grande umanità dei due popoli visitati, nonostante le difficoltà vissute. I loro sorrisi. La loro gioia”.