Medio Oriente, se anche i cristiani prendono le armi

SIRIA, Medio Oriente, se anche i cristiani prendono le armi

Si infittiscono le segnalazioni di “milizie cristiane” coinvolte nei conflitti in atto. I capi delle Chiese fiutano il pericolo, e non concedono benedizioni

Le ultime segnalazioni arrivano dal Libano: già da agosto, gruppi di cristiani in parte legati al Movimento patriottico libero (Fpm, il Partito guidato dall'ex-generale maronita Michel Aoun)  — si sarebbero organizzati in pattuglie di auto-difesa, iniziando a ricevere armi dalle milizie sciite legate a Hezbollah. Per ora, il fenomeno appare limitato ai villaggi a est di Sidone e al nord della Valle della Bekaa, come Ras Baalbek. E a incentivarlo sono stati gli sconfinamenti in territorio libanesi delle bande jihadiste operanti in Siria. Secondo fonti locali contattate dalla stampa libanese, la scelta di portare sul terreno militare l’alleanza tra gli sciiti di Hezbollah e i militanti cristiani del Fpm è stata presa in incontri tra responsabili locali delle due fazioni. I capi di Fpm, nelle dichiarazioni ufficiali, hanno sempre respinto l'idea di armare i cristiani. E si sa che a inizio settembre una delegazione ufficiale di Hezbollah, guidata da Ghaleb Abu Zeinab – responsabile del Partito sciita per i rapporti con i cristiani - all’inizio di settembre aveva visitato i sacerdoti di Sidone e Jezzin e poi alcuni politici cristiani della regione. Negli incontri, senza far riferimento alle armi, i militanti sciiti avevano richiamato l’urgenza di fare fronte comune contro il comune nemico, rappresentato dai jihadisti dello Stato Islamico del Fronte al-Nusra, per impedirne l’infiltrazione in Libano. Fonti diverse confermano che da allora, in ristrette aree frontaliere del Libano, anche i cristiani si stanno armando in maniera massiccia.

I cristiani libanesi ricordano bene la tragedia della guerra civile, quando il Paese venne straziato per anni dalla violenza delle milizie settarie. Ma nel Medio Oriente sconvolto dalle offensive jihadiste, anche alcuni di loro scelgono di prendere le armi e organizzare unità armate identificabili confessionalmente come “cristiane”. Su tutti pesa “l’effetto Mosul”, l’immagine di decine di migliaia di cristiani inermi della Piana di Ninive costretti alla fuga dopo che l'esercito regolare iracheno si era dileguato davanti all'avanzata delle milizie dello Stato Islamico, imbottite di mercenari e volontari venuti da ogni parte del mondo.

L’opzione delle armi da parte di cristiani, negli scenari stravolti della recente cronaca mediorientale, conta casi sempre più numerosi.

In Siria fin dall’inizio del conflitto il regime di Assad ha puntato a distribuire armi leggere a civili cristiani coinvolgendoli in squadre di auto-difesa dei rispettivi villaggi incaricate di resistere davanti alle incursioni dei ribelli. Gruppi di auto-difesa formate da cristiani si sono formati nella Wadi el Nasara, la “Valle dei cristiani”, a ovest di Homs, e si sono visti in azione anche nelle operazioni militari messe in atto per riconquistare i villaggi-santuario di Saydnaya e Maalula, nella regione del Qalamun, a est di Damasco. Nella provincia nord-orientale di Jazira, intorno ai centri urbani di Hassakè e Qamishli, la scelta di creare brigate para-militari riconoscibili con sigle e simboli propri è stata abbracciata soprattutto da cristiani siri e assiri. Le formazioni identificatesi sotto la sigla Sootoro, che inquadravano giovani cristiani di rito assiro, hanno conosciuto anche lacerazioni interne tra l’ala collegata con l’esercito regolare siriano e quella più connessa alle milizie curde. Di recente, alcuni blog mediorientali hanno dato notizia della creazione a Qamishli di una “accademia militare” animata da cristiani siri e assiri della provincia di Jazira, denominata General Agha Petros Academy.

Anche in Iraq le “milizie cristiane” più esplicite nell’ostentare il proprio profilo identitario sono quelle degli assiri raccoltisi nelle brigate Dwekh Nawsha (i sacrificatori), qualche centinaio di uomini armati pronti a prendere parte alla battaglia contro i jihadisti dello Stato Islamico per liberare la Piana di Ninive. Postano foto e video sui social network, e nella loro narrativa identitaria il riferimento al cristianesimo appare essenzialmente come corollario della propria appartenenza etnica. Tanto che nelle bandiere di quella milizia “cristiana” campeggia anche la figura del Lamassu, antica divinità mesopotamica con corpo di toro alato e testa di uomo.

L’ostentato particolarismo etnico è una chiave non secondaria per interpretare le scelte di cristiani che si organizzano in milizie. Settori di alcune Chiese d’Oriente, forti soprattutto nelle comunità della diaspora - come i circoli “assiri e caldei” operanti in Nordamerica - negli ultimi lustri hanno alimentato il revanscismo di una identità definita più da fattori etnici che confessionali. Con leader laici e ecclesiastici che si esprimono come custodi di un nazionalismo etnico pre-cristiano più che come esponenti di tradizioni cristiane risalenti ai tempi della predicazione apostolica.

Nella comunità assira, la disponibilità di alcuni gruppi a organizzarsi in milizie armate in nome della propria identità etnico-nazionale - con appoggi e finanziamenti provenienti anche dalle comunità della diaspora - ha precedenti storici eloquenti. Già durante la prima guerra mondiale, agenti britannici infiltrati in Kurdistan avevano arruolato gli assiri con la promessa di appoggiare la creazione di uno Stato assiro indipendente alla fine del conflitto. Poi, nell’Iraq sotto protettorato britannico, combattenti assiri avevano affiancano le truppe del Regno Unito nella repressione delle insurrezioni sciite e curde, continuando a rivendicare la creazione di una patria assira sotto l’autorità temporale del catholicos. Nell’agosto 1933, anche per punire il loro indipendentismo, gli assiri avevano pagato il prezzo più caro nei pogrom anti-cristiani computi nella Provincia di Mosul dalle truppe regolari del nuovo Stato iracheno.

Anche il ricordo di fatti passati rende prudenti i capi delle Chiese davanti al fenomeno ritornante delle “milizie” cristiane. Finora, vescovi e patriarchi di sensibilità diverse si sono guardati dal benedirle, definendole come iniziative spontanee che ricadono sotto la piena ed esclusiva responsabilità dei protagonisti. L’arcivescovo siro-cattolico Jacques Behnan Hindo, titolare dell’eparchia di Hassakè-Nisibi, ha detto di aver rifiutato già nel 2012 1700 kalashnikov messi a disposizione dal governo di Damasco per «l’autodifesa» dei suoi fedeli, definendo «dissennato» l’invito ai cristiani a imbracciare le armi contro i ribelli anti-Assad espresso alla fine del 2013 da un vescovo siriano greco-ortodosso. Il Patriarca caldeo Louis Raphael I ha ripetuto anche di recente che la creazione di milizie cristiane connotate in maniera etnico-religiosa rappresenta ai suoi occhi «una follia e un suicidio», invitando i cristiani che vogliono liberare le terre conquistate dai jihadisti a entrare nell’esercito curdo o in quello nazionale iracheno. «In Siria non ci sono milizie cristiane. Ci sono solo persone che per libera iniziativa prendono delle armi per la difesa personale o per organizzare comitati di auto-difesa nei quartieri» dichiara a Vatican Insider il patriarca greco-melkita Gregorios III. «E in ogni caso» aggiunge il Primate della Chiesa melkita «soffriamo tutti le stesse minacce e gli stessi pericoli, e non bisogna mai separare la difesa dei cristiani da quella degli altri. È ingiusto, e anche pericoloso, perché nutre diffidenze che possono trasformarsi in ostilità».

Gianni Valente

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